Il Ricettario di Giovan Felice Luraschi

Nuovo cuoco milanese economico

Il ricettario apparve nel 1829 ed ebbe altre tre edizioni, l'ultima delle quali nel 1865. Si tratta di un ricettario ponderoso, un manuale in senso proprio, rivolto "ai cuochi, ai principianti e ai particolari". Nella prima parte si trattano gli argomenti di sfondo.... Nuovo cuoco milanese economico
Milano, Tipografia Motta, 1829.002.luraschi

 

1. L'autore
Su Giovan Felice Luraschi disponiamo di pochissime le informazioni. Le storie della cucina gli dedicano poche righe e nessuno storico si è mai curato di inseguirne le tracce negli archivi milanesi. Fu cuoco professionista e lavorò a lungo per alcune famiglie della buona borghesia cittadina. Non si ha notizia che tra le sue conoscenze ci fossero artisti, scienziati o politici. Si può supporre che nelle discipline umanistiche fosse un autodidatta. La sua scrittura ci fa certi che fu un uomo di varia, anche se non profonda cultura, ma che non ebbe, come altri cuochi, l'opportunità, di estendere i propri interessi oltre gli ambiti della cucina, del mercato e dell'economia domestica, poiché non risulta abbia operato in alberghi o in ristoranti alla moda.

2. L'opera
Il ricettario apparve nel 1829 ed ebbe altre tre edizioni, l'ultima delle quali nel 1865. Si tratta di un ricettario ponderoso, un manuale in senso proprio, rivolto "ai cuochi, ai principianti e ai particolari". Nella prima parte si trattano gli argomenti di sfondo: delle caratteristiche dei generi alimentari, degli utensili necessari nella cucina, delle norme di compilazione della lista delle vivande, della qualità e del taglio delle carni. Nella seconda parte sono esposte le ricette, ripartite in maniera professionale e non occasionale, rispetto al servizio dell'epoca. Ventisei ricchi capitoli, in cui si passano in rassegna tutti i tipi di entrées, di entremets (in italiano "trasmessi" o "intermezzi"), i diversi tipi di cottura, le verdure e gli ortaggi, le conserve e soprattutto i dolci, di cui il ricettario offre un regesto dei più ricchi tra quelli stampati in quegli anni.
Il Nuovo cuoco milanese difetta però di chiarezza d'esposizione, contraddicendo l'intento didascalico prefissato dall'autore. La terminologia è approssimativa e il linguaggio non uniforme, la sintassi incerta si disperde tra la lingua e il dialetto, come se il volume riunisse, con difetto di editing, materiali e appunti di diversa origine ad uso di cuochi già esperti delle tecniche e delle procedure. Un limite culturale che, forse, ha la sua radice nell'atteggiamento del Luraschi verso il proprio lavoro. Se è tra i primi a riconoscere l'importanza della comprensione organolettica degli alimenti ("il cuoco deve avere il palato buono, il gusto delicato per combinare esattamente i condimenti e le dosi"); non è però capace di comprendere se stesso e il proprio lavoro nella dimensione creativa, al di sopra della pratica del servizio: "...il cuoco deve inoltre essere sollecito nel lavorare per operare prontamente, e dee studiare con assiduità il gusto del proprio padrone, per cui il palato del cuoco dev'essere quello dello stesso padrone; una delle più belle prerogative che possa possedere, onde soddisfare il genio del medesimo".

3. La cucina del Nuovo cuoco milanese
Il Luraschi dichiara orgogliosamente che il suo ricettario è atto a servire "pranzi all'uso inglese, russo, francese e italiano". Il cuoco recepisce poco i mutamenti in atto nel panorama europeo. I "servizi", cioè la composizione dei pasti e le modalità con cui le pietanze raggiungevano i commensali si sono diversificati e a seconda delle epoche e dei territori. Nell'Europa rinascimentale si praticava il cosiddetto servizio "all'italiana", in cui le pietanze arrivavano tutte insieme sulla tavola, con la tavola stessa trasportata su paranchi. Dal XVIII secolo si preferì ricorrere al servizio "alla francese", scandito in tre tempi: prima i piatti caldi, dal potage fino agli arrosti, già sontuosamente sulla tavola al momento dell'arrivo dei commensali; quindi i piatti freddi e le verdure; infine la pasticceria. Negli anni successivi al Congresso di Vienna, quelli in cui viveva Luraschi, si impose il servizio "alla russa", più razionale e pratico, in cui i piatti caldi si servono individualmente in serie di dieci o dodici coperti alla volta: ed è questo il tipo di servizio usato ancora oggi. Contemporaneamente si cominciavano a gettare le basi per quella che diverrà, nell'arco di una cinquantina d'anni, la grande cucina internazionale. Luraschi non è in grado di fiutare la direzione del vento e, nella sua foga di apparire completo, si porta dietro il cascame del tempo passato: i servizi obsoleti e un repertorio di pietanze che non sanno decidersi tra il vecchio e il nuovo, tra le pompe del passato, le più modeste aspettative della borghesia milanese e le prospettive della cucina internazionale.
L'idea gastronomica espressa nel Nuovo cuoco milanese aderisce soprattutto alle indicazioni tecniche e di gusto della moda francese, quindi non si differenzia molto dalla letteratura culinaria coeva. Nella sua modestia e nella scarsa originalità complessive, il ricettario ha però un suo interesse nella sistematicità e, per chi abita il territorio prealpino, nel vasto campionario di ricette dell'uso milanese e lombardo, più ampio che negli altri Cuochi piemontesi e sedicenti milanesi: lo stufato, le zucchette, le broccole, la senape, la galantina di cappone (tutti piatti alla milanese) e poi la frittura di polenta, la zuppa di marasche, gli sbrafodeli, il riso con la coradella, il cappone non sono che esempi tra i piatti più conosciuti. Inoltre le specialità provenienti da altre città e regioni d'Italia, in via di affermazione nella Milano di inizio '800 (la zuppa alla romana, il fegato alla genovese e quello alla parmegiana, il manzo alla piemontese, la salsa anconitana, le alici alla napoletana ecc.) rappresentano un contributo all'idea di gastronomia del territorio italiano che proprio in quegli anni muoveva i primi passi.