Progetto realizzato con il contributo della Provincia di Como

VITELLO TONNATO
(Angelo Dubini)
La cucina degli stomachi deboli, Milano, Giuseppe Bernardoni, 1862.
 
Ingredienti: Fesa di vitello, vino bianco, sédano, carote, cipolla, garofani, sale, pepe, olio.
 
Batti fortemente una fesa di vitello, e mettila a infuserare per dodici ore in due bicchieri di vino bianco con sédano, carote, cipolla steccata di garofani, sale e pepe. Passate le dodici ore, involgila in un pannolino, ricollocala nel suo fondo, aggiungivi dell’olio e lasciala cuocere lentamente per due ore. Servila con olio, limone e pochissimo zuccaro in polvere, cui unirai un’acciuga pesta e passata allo staccio.
Altra maniera. Poni a soffriggere un pezzo di butirro con una fetta di cipolla ed un cucchiajo di farina. Quando la cipolla avrà preso color d’oro, gettala via, e colloca nel butirro la fesa di vitello bene sgrassata, disossata e battuta. Arrosolata che sia, versaci sopra un bicchiere e mezzo di vino bianco con due chiovi di garofano e due cucchiaj d’olio fino. Lasciala cuocere così per un’ora ed un quarto, poi, freddata, toglila dal suo fondo, e dispostala sul piatto, irrorala colla seguente salsa. - Pesta nel mortajo un paio d’once di tonno salato con un’acciuga, allunga l’impasto con due cucchiaiate del fondo lasciato dalla fesa, passalo allo staccio ed uniscivi dell’olio e del sugo di limone.
Altra maniera semplicissima. Instecca con filetti di acciughe una bella fesa di vitello del peso di una libbra (kil. 0,76) o poco più, mettila in una pentola di terra ove sia tanto come un uovo di butirro già tosto, e preso che abbia un leggier colore d’oro, versavi sopra un bicchier d’aceto. Corpi la pentola e mettila a bollire lentamente per un’ora e mezza. Tolta la fesa dal suo fondo e collocatala sul piatto, unisci al fondo sgrassato tre cucchiai d’olio d’ulive, rimestavelo insieme e versalo sul vitello. Lo servirai freddo. Questo piatto si conserva anche nell’estate per più giorni, quando si abbia cura di voltarlo e rivoltarlo più volte, e di tenerlo in sito fresco ed asciutto.
 
 
Il vitel toné o vitello tonnato è, a cominciare dal nome, un piatto di schietta origine padana, elaborato dalla cultura gastronomica tardo-settecentesca tra Torino e Milano, sotto la verosimile influenza della cucina parigina. Come si può verificare, solo una delle tre ricette implica l’uso della ventresca di tonno salata. La denominazione toné attribuita al pregiato taglio di vitello non è, come si potrebbe credere, conseguente alla sua guarnizione (successivamente divenuta di norma) con la salsa a base di tonno. E’ quello dell’acciuga, il gusto “marino” che invece compare in tutte le versioni. Due di queste versioni sono varianti di brasato, una di arrosto. Due si consumavano fredde, una calda.
Troppe cose non coincidono col modello di vitel toné - con salsa a base di maionese e di tonno - cui siamo oggi abituati e che diviene più o meno universale solo alla fine dell’800 ad opera della grande cucina internazionale praticata nei grandi alberghi. Se ne ricava che la denominazione tonnato assegnata a questo taglio di carne di vitello non significava all’inizio, come noi oggi intendiamo, con la salsa di tonno, quanto piuttosto preparato alla maniera del tonno secondo un uso attestato da altri ricettari ottocenteschi. Nel Cuoco senza pretese dell’Odescalchi (1826) è raccolta una ricetta di Vitello ad uso tonno condito con acciughe e limone. Il Nuovo cuoco ticinese economico pubblicato da Luigi Franconi nel 1846 riporta la ricetta di unVitello ad uso tonno in tutto simile alla prima delle tre ricette del Dubini. Negli stessiStomachi deboli si trovano inoltre descritte le Polpettine tonnate, microscopiche,ottenute da fettine di vitello con filetti d’acciuga e olio d’oliva e un Tonno all’italiana,in cui la ventresca di tonno (tonnina) dissalata, rosolata nell’olio con cipolla, è condita con una salsa a base di acciughe, limone e prezzemolo.
Per concludere, tra Sette e Ottocento, il tonnato era una semplice preparazione a base di acciughe e limone, usata all’origine per la cottura del tonno dissalato. La ventresca di tonno entra come ingrediente del vitello ad uso tonno solo in tempi successivi, per attrazione del nome, e forse per stemperare l’acutezza del sale delle acciughe, una volta perduto il collegamento tra le ragioni (e gli usi) della cucina e quella della lingua comune. Il modello permane a lungo, perché ancora nella versione accolta da Pellegrino Artusi nella sua Scienza in cucina, il vitello tonnato si porta in tavola con una salsa non omogeneizzata in cui la ventresca di tonno è sbriciolata, assieme alle acciughe e a qualche cappero, in una emulsione di olio e limone. Della maionese ancora nessuna traccia, almeno fino all’Arte cucinaria del Cougnet. Ma siamo già agli inizi del XX secolo.
 
Le varianti segnalate (escludendo quelle “da gastronomia” con la maionese):
- La carne è arrostita nel burro, come nella seconda variante del Dubini, con o senza infarinatura.
- La carne è brasata, come nella prima e nella terza variante del Dubini, in presenza di vino bianco o di aceto.
- Gli ingredienti usati più comunemente per la salsa sono: filetti di acciuga, tonno sott’olio, capperi, prezzemolo, sovente diluiti con il brodo o con il fondo di cottura della carne
- La salsa può essere diluita con vino bianco e/o aceto
- Per la guarnizione si usano olive nere, o capperi, o fettine di cetriolino sott’aceto.

ASPARAGI AL BURRO
da La cuoca milanese e la 
cuciniera lombardo-veneta (1863)

Il Testo
“Fate cuocere gli asparagi nell’acqua col sale, quando son cotti fateli sgocciolare, e preparate una salsa con burro, sale ed aceto, o sugo di limone, noce moscata, pepe bianco, rimestandola sempre, e la verserete sugli asparagi che avrete collocati in un piatto”.


Il Commento 
La preparazione tradizionale delle verdure bollite con burro fuso, semmai addensato con piccole quantità di farina e/o formaggio, e condito con pepe bianco e noce moscata, è qui reinterpretata alla luce delle abitudini culinarie tardo settecentesche, elaborate a Parigi e giunte in Lombardia attraverso la volgarizzazione piemontese. L’agro dell’aceto o del sugo di limone - non di rado stemperato dall’aggiunta di zucchero - è presente in molte ricette dell’epoca (non importa se di carne, di pesce o di verdure) a dare quasi una nota specifica alla gastronomia dell’epoca. Lo stesso ricettario presenta anche molte formulazioni in cui le verdure lesse sono condite, come nella migliore tradizione brianzola,. con burro fatto friggere al nero, non di rado deglassato con il solito cucchiaio di aceto.  

Il Testo
“Ingredienti: pane lucido, uva passula, butirro, vino rosso, zuccaro, cannella"

“Taglia del pane lucido a fette, friggile con butirro e disponile asciutte in una zuppiera. Fa intanto bollire in una pentola di terra inverniciata 4 quintini di vino rosso con 4 once e mezzo [circa 110 g] di zuccaro, poca cannella in polvere e once 6 [circa 155 g] di uva passa piccola (in mil. ughett) ben mondata. Dopo un quarto d’ora di bollitura versa il tutto sulle fette di pane e servi la zuppa calda”.


Il Commento 
Si tratta di una delle tante preparazioni dolci, molto apprezzate tra XVIII e XIX secolo sul Lario, in Brianza e nel territorio milanese, con le quali venivano esaltate le qualità energizzanti e dolcificanti del pane, della frutta e del vino. Si ricordi che la bollitura del vino con zucchero e frutta di vario tipo (sia fresca che essiccata) fino a concentrazione fluida, dava origine a quella sorta di sciroppo comunemente chiamato giulebbe, di cui lo stesso ricettario presenta altri utilizzi, con le pere, con le marasche, con le ciliege e persino con le carote affettate a bastoncini. L’impiego di pane lucido in luogo del pane di mistura, indicato per la maggior parte delle altre preparazioni, fa indurre che la ricetta sia stata elaborata in ambiente borghese (cittadino o di villa) sulla base di consuetudini popolari molto diffuse.

UNA CAZZOLETTA BEN FATTA 
ELLA E’ PER BUON PASTO 
da Antonio Odescalchi "Il cuoco senza pretese" 
ossia la cucina facile ed economica (1826)


Il Testo
“Mettete del butiro in cazzaruola capace a dileguare, e quando sia a mezza cottura, vi unirete una cipolletta ben trita con un pizzico di pepe, e drogheria. Fatele prendere il color d’oro ma non troppo, indi aggiungetevi fegati di pollo, zampe, cuori, cipolle di pollo, colli, una gamba di vitello fatta a pezzi, cotica di porco pure tagliata a quadretti, costole porcine, che farete tutto questo unire al fornello, salato che sia, per qualche minuto. Ciò fatto aggiungetevi del brodo ma nella dose che basti per non farlo attaccare al fondo della cazzaruola, ed a due terzi di cottura unitevi selleri, porri, carote tagliate a fette; e così lasciate che cucini lentamente tutta questa roba. Ma le verze direte voi a che devono servire, che pur esse formano la parte essenziale di questo cibo? Le verze allorché saranno allestite, quando sia la cassuola a tre quarti di cottura, eccovi il tempo a proposito di accompagnarle al resto con una dose di salsiccia (luganica), e terminare così onorevolmente la cottura. Eccovi la cazzuola fatta e buona. 
N.B. Se di magro con anguilla, polpe di rane, code di gamberi, salsiccia di pesce e brodo analogo, colla diversità che farete arrostire per primo le carote col sellero e porri, ed a mezza cottura vi unirete l’anguilla colle verze”.


Il Commento 
La tradizione degli ultimi centocinquanta anni ha associato indefettibilmente il nome della cassoeula alla sostanza del maiale, con l’unica eccezione della persistenza nel territorio a Sud di Milano, in Lomellina, nel Pavese e nel Lodigiano, della variante con la carne d’oca, originatasi all’interno delle comunità ebraiche dove la carne di maiale era proscritta. Come tuttavia si può facilmente ricavare da molti ricettari del Settecento e dalla ricetta dell’Odescalchi, in origine la cassoeula era una variante rustica sul tema del fricandò o della finanziera ottenuta da carni di prevalente origine avicola, tanto cacciagione quanto animali da cortile, e, come tale, destinata alle mense borghesi. Nella cultura prealpina esisteva un altro piatto, la verzata (ricordata anche da Antonio Fogazzaro nel primo capitolo di Piccolo mondo antico con il nome di posciandra, tipico del lago di Lugano), in cui alle verze stufate si accompagnavano solo dei salamini (i verzitt, appunto). Questo piatto, tipicamente popolare, può essere considerato una cassoeula povera. Con molta verosimiglianza la cassoeula di tradizione otto-novecentesca deriva proprio da un incontro a mezza strada (cultura piccolo borghese e/o di villa) tra i due piatti citati. 

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