EXPO: I nodi vengono al pettine
Che la cultura alimentare sia oggi profondamente divisa, e le forze in campo siano in conflitto, non è una scoperta. Da un lato l’industria, dei semi come delle carni, e la grande distribuzione, con trasferimenti intercontinentali di derrate, dall’altro una mobilitazione variegata, con i piedi per terra e con tante etichette e tanti prefissi, eco- e bio. Associazioni quali il FAI, Greenpeace o Slowfood vi contribuiscono significativamente. Esiste una precisa linea di confine fra i due campi ? Solo su certi prodotti e su alcune filiere … Nella vita di ogni giorno, si fa la spesa, si riempie il carello e si leggono appena le etichette.
L’Expo fin dai suoi primi passi, due anni fa, ha deliberatamente ignorato questi conflitti, e per non attizzarli, ha evitato con cura di suscitare un dibattito su come bisognerà “nutrire il pianeta”. Niente orti per il futuro, niente padiglioni della ricerca scientifica, niente documenti che si prestassero a qualunque interpretazione. Una politica di sorrisi, verso Vandana Shiva, green glamour, e verso gli stati che rappresenteranno con il loro padiglione l’agroalimentare, una tattica destinata a far tacere domande e riflessioni, in una Milano, in un paese in cui la cultura alimentare non è solo consenso. Delle iniziative, trapelavano le più accattivanti, le più pittoriche : chi mai, eco- o bio-, avrebbe mai preso a calci il cesto di frutta del Caravaggio ?
Coloro che si occupavano di alimentazione, trovavano strano questo silenzio. Non presagiva nulla su un futuro trentennale che sarà caratterizzato da un aumento della popolazione, dovrà essere sorretto da una produzione agricola adeguata e metterà in gioco il ruolo competitivo degli allevamenti. Inoltre, come sperare di ospitare Slow Food e far tacere Carlo Petrini che da anni denuncia “i criminali” dell’agroalimentare ? La tattica non portava egualmente frutti nelle provincie limitrofe, e nelle regioni prossime in cui l’Expo figura come un polo con ricadute turistiche sostanziose. A chi si domanda, ancor oggi : che cosa sarà ? si risponde “una grandissima fiera”. Più di “Tuttofood” ? Molto, molto di più. Verranno milioni di cinesi …
Ed ecco che qualche giorno fa, qualcosa va storto. Negli ultimi dieci anni, se c’è una sigla capace di scatenare le guerre di religione, questa è OGM, organismi geneticamente modificati, semi prodotti e brevettati da Monsanto negli Stati Uniti, diffusi in Canada e “vietati”dall’Unione Europea. Dici OGM e scoppia un putiferio con scienziati che li difendono, con analisti a favore del seme e non del brevetto, con militanti che sbraitano, con la Coldiretti che media e finisce per schierarsi con gli anti. L’ipotesi che Monsanto trovi ospitalità nel padiglione americano dell’Expo, e lo finanzi, basta a scatenare la reazione. Conferenza stampa delle Associazioni, prime mobilitazioni, niente sit-in, in assenza di una Expo tutta in cantiere, ma presente con il suo marchio, su libri, arredi urbani, réclam. Al posto di una politica culturale, c’è il logo, anzi un monologo che, a distanza di un anno, è un déjà vu.
Visto dai laghi, non è misterioso il conflitto. Orti, supermercati, gas (gruppi di acquisto solidale) e, a Como, una agricoltura svizzera con i suoi zincarlin e i suoi merlot, e una formaggeria lecchese, bastano a concretizzare qui, come altrove, l’esistenza di modi diversi, compatibili e incompatibili, di produrre e consumare. E l’Expo ? Per fortuna, in piazza del duomo, non se ne vede il logo, logo del nulla, e gli scambi di delegazioni, o le visite di osservatori, non cambieranno le cose, tanto meno i problemi alimentari spicci o planetari. Non c’è niente di peggio che una cultura umiliata dal silenzio e dalla sola preoccupazione di portar a termine, senza denunce, il lavoro dei cantieri. Ma, per gli ottimisti, c’è ancora un anno per discuterne, ed a questo dovrebbe pensare proprio Lei, l’Expo, senza aspettare che le diatribe e i sit-in si attuino quando aprirà le porte.
Alberto Capatti