Il nuovo cuoco ticinese economico di Luigi Franconi
Il cuoco ticinese ebbe tre edizioni, tra il 1849 e il 1879, con un discreto successo, che tuttavia non superò mai i confini del Canton Ticino. E' scritto in una prosa garbata e discreta, senza artifici retorici, attraverso una lingua modellata sul parlato .... Luigi Franconi
Il nuovo cuoco ticinese economico
Lugano presso fratelli Fioratti, 1846
Invia1. L'autore.
Non sono molte le informazioni degne di rilievo che ci sono giunte su Luigi Franconi. Nativo di Brissago, cresce apprende l'arte della cucina nella Milano della prima metà del XIX secolo e la perfeziona con "vent'anni di servizio in alcune delle migliori cucine di Milano ed adiacenze". La sua vita pubblica è tutta qui: nel servizio fedele, puntuale e guidato dal buon senso nelle cucine dell'alta borghesia lombarda, nelle quali, è noto, si mirava a far bella figura, ma si perseguiva allo stesso tempo una sana economia domestica, senza sperperi né fronzoli inutili.
Franconi pubblica il suo ricettario a Lugano, contribuendo a portare nella cultura alberghiera ticinese quella novità, rispetto ai criteri di sistemazione e di teorizzazione della tecnica e della pratica gastronomica avviati a Parigi da Antonin Carême con la sua monumentale Arte della cucina nel XIX secolo, quella novità degli intenti e del carattere, idealmente europei e cosmopoliti, che fu di incentivo all'aggiornamento e allo sviluppo delle infrastrutture turistiche ticinesi, così utili negli anni seguenti a promuovere l'economia della regione.
2. L'opera
Il cuoco ticinese ebbe tre edizioni, tra il 1849 e il 1879, con un discreto successo, che tuttavia non superò mai i confini del Canton Ticino. E' scritto in una prosa garbata e discreta, senza artifici retorici, attraverso una lingua modellata sul parlato (limite di cui l'autore è consapevole), che non disdegna di tanto in tanto il ricordo di qualche arcaismo o, all'opposto, forgia neologismi, semmai deformando il lessico francese. Lingua piana, ma non illetterata, in cui talvolta ricorre tra i termini francesi il ricalco delle forme del dialetto milanese, a riprova della genuinità pratica della cultura del suo autore, cresciuto e vissuto tra i fornelli e le pignatte. Si rivolge a un pubblico non troppo esigente (commercianti, impiegati, piccolo borghesi), e per questo non si prefigge la completezza e la sistematicità del ricettario del Luraschi; e non si distingue per originalità e fantasia; ma - al pari del Luraschi - non indica le dosi degli ingredienti, né qualifica in maniera puntuale le procedure e i tempi di cottura e di preparazione, quasi che si rivolgesse a cuochi professionisti già in possesso delle tecniche culinarie. E' in questa implicita sopravvalutazione delle capacità operative dei propri lettori, il limite maggiore del ricettario.
3. La cucina del Nuovo cuoco ticinese
La gastronomia ticinese, sia quella familiare che quella della ristorazione, risentiva, a metà Ottocento, i limiti di un ambiente chiuso in una dimensione popolare fondamentalmente autoreferenziale che esprimeva una cultura alberghiera ancora piuttosto provinciale. L'elaborazione culinaria ruotava principalmente attorno alle idee e alle pietanze di una tradizione popolare e valligiana semplice e modesta, non ancora toccata né dal lavoro di sistemazione e di codificazione attuato dai grandi maîtres francesi né dagli apporti che attraverso Vienna giungevano a Milano dalla Mitteleuropa e dall'Europa orientale. E d'altronde, anche Milano faticava non poco a trovare una sintesi tra i nuovi dettami d'Oltralpe e le necessità pratiche di una realtà in continuo cambiamento nella quale si andavano prospettando nuovi tempi e nuove forme per la produzione e dunque anche un diverso rapporto degli individui con le proprie risorse e con le proprie necessità, primo fra tutti il cibo.
All'insieme di queste suggestioni di cultura gastronomica si rifà Franconi, prospettando un modello che affonda le sue radici non tanto nella tradizione delle valli svizzere, quanto proprio nella cucineria milanese e lombarda. Da cuoco scaltrito, anche se non raffinatissimo, propone alimenti tendenzialmente semplici, una cucina schietta, di carattere popolare, riducendo, per quanto possibile, "i lambricati intingoli della cucina di Parigi, che più soddisfano alla moda che non al palato". "Col troppo raffinar i gusti temo che non abbiamo a guastarli". Franconi non si mette in concorrenza con i maestri del gusto d'Oltralpe, e appare orgoglioso di avere illustrato piatti italiani che, egli afferma, si cercherebbero invano in altri libri di cucina, ma che risultano servibili "tanto per cucina particolare come per albergo o trattoria". Se spesso ricorre alle "pome di terra", appena giunte dal Nord Europa, e all'acciuga usata come condimento tradizionale al posto del sale, alla stregua del garum di Apicio, mancano quasi del tutto, nella cucina del Franconi, le paste asciutte o farcite della tradizione italiana, come non sono recepite in pieno l'utilità e le potenzialità del pomodoro. Vi figura tuttavia - esempio raro nei ricettari dell'epoca - un "Pasticcio di polenta" con il ragù d'anguilla, che può essere assunto come opportuno esempio di cucina popolare lacustre.