Carpionar trutte al modo di carpioni
Carpionar trutte al modo di carpioni
da Maestro Martino de Rossi
Libro de arte coquinaria (1450 c.a)
Il Testo
“Netta le trutte molto bene et cavane fora l’interiori, pugnendole in molti lochi con la punta del coltello da ogni parte, et farai una salimora d’acqua et aceto tanto dell’uno quanto dell’altro, mettendogli del sale assai, el quale farai struggere molto bene, et dentro gli metterai le trotte per un mezzo giorno o più. Et facto questo le caverai sopra una tavola mettendole in soprescia per tre o quattro hore, et frigerle bene in olio bono et assai, che sian ben cotte e non arse. Et queste trutte poterai conservare un mese frigendole dell’altre volte se ti piacerà et refacendole a modo di carpioni”.
[Ripulisci le trote dalle scaglie, togli loro le interiora e pungile in tutto il corpo con la punta del coltello. Prepara una salamoia con acqua e aceto in parti uguali, in cui farai sciogliere con cura molto sale. Mettici dentro le trote e lasciale a bagno una mezza giornata o più, scolale e mettile a sgrondare sopra una tavola con un peso sopra per tre o quattro ore. Quindi friggile in abbondante olio della migliore qualità finché non saranno ben cotte ma non risecchite. Le potrai conservare per un mese friggendole altre volte e rifacendole al modo dei carpioni].
Il commento
L’abitudine di friggere il pesce e di bagnarlo con aceto è documentata già nel De agri cultura di Catone (II secolo a. C.). L’aceto o, come nel caso di una delle ricette di Maestro Martino, l’agresto (una sorta di aceto ottenuto dalla bollitura del succo di uva acerba) e il succo di arancia (frutto che nel Medioevo, non essendo ancora stato ibridato aveva un gusto molto aspro simile a quello del limone), erano sostanze che permettevano di conservare il pesce per molti giorni, e “refacendolo”, cioè friggendolo molte volte, anche per un mese. Nessuna delle tre ricette di campionatura presenti nel ricettario di Martino può essere identificata come origine diretta del pesce in carpione quale si prepara ai nostri giorni. Idealmente sono però tutte nella stessa linea di evoluzione (aceto, infarinatura, frittura, prezzemolo e aromi), confermata anche dalle annotazioni riportate, un secolo più tardi, da Paolo Giovio e da Ippolito Salviano nelle loro dotte operette sui pesci. Considerando che nel XVII secolo anche Bartolomeo Stefani, cuoco dei Gonzaga, propone una ricetta identica, se ne può indurre che l’abitudine di arricchire il condimento del carpione con vegetali aromatici (cipolla, aglio, carota, sedano e timo) diventa comune nella gastronomia settecentesca, con la progressiva riduzione delle spezie, e per soddisfare la necessità di pucia abbondante con cui insaporire la polenta o il pane.