Pane di fegato
PANE DI FEGATO
da Luigi Franconi,
Il nuovo cuoco ticinese economico, Lugano 1846
Il testo
“Pestate bene un pezzo di fegato di maiale con qualche fegatino di pollo e fateli passare allo staccio, uniteli due rossi d’uova, un mostaccino ridotto in polvere, mezzo bicchiere di vino Malaga, sale, noce moscata, mescolate il tutto assieme; untate un timballo con butirro, versatele dentro questo composto e fatelo cuocere a bagnomaria”.
(Tagliate il fegato di maiale a fettine e fatelo saltare rapidamente in un goccio d’olio assieme ai fegatini di pollo. Poi tritateli molto sottili e passateli al setaccio (oggi si può usare il frullatore). Polverizzate un mostacciolo (biscotto secco legato con mosto cotto, oggi sostituibile con un biscotto secco con cannella e chiodo di garofano) e unitelo al fegato con due rossi d’uovo, mezzo bicchiere di Marsala, sale e noce moscata, mischiando tutto accuratamente. Ungete uno stampo rettangolare dalle pareti lisce, versateci dentro il composto e fatelo cuocere per circa un ora a bagnomaria. Può essere decorato con gelatina sopra e sotto)
Il commento
Il nuovo cuoco ticinese economico del Franconi è forse il primo dei ricettari ottocenteschi (l’ultimo, tra i maggiori, sarà quello di Pellegrino Artusi, 1892) a riportare, con leggerissime variante nell’aromatizzazione tra l’uno e l’altro, la ricetta del pan di fegato. Il termine “pan” non ha alcuna attinenza con il pane di frumento, piuttosto con la forma della pietanza in questione, così come si dice “pane” o “panetto” di burro o di qualsiasi altra sostanza alimentare o meno che abbia una forma di parallelepipedo. In questo caso si tratta di uno dei molti antenati rustici del paté di fegato, in cui la sostanza legante non è data dal burro, ma dalle uova e dalla polvere di biscotto cotte lentamente a bagnomaria. La borghesia lombarda dell’800, attenta al decoro ma anche al risparmio, ne apprezzava giustamente la sostanza e la tranquilla compostezza. La sostituzione del fegato di maiale con quello di vitello e la cospicua aggiunta di burro nelle elaborazioni di cucina internazionale nel corso del XIX secolo hanno sicuramente reso il paté più omogeneo, ma anche più generico, più delicato (se fatto ad arte) ma meno gustoso e ricco di evocazioni.