Note: |
cuocere alla pietra
La pietra per cuocere sulla fiamma viva, è propriamente una lastra di pietra ollare (composta di talco, clorite e mica), chiamata comunemente nel dialetto piöda (lastra, appunto, come quelle che si sfaldano sui fianchi delle montagne). L'uso della pietra era abbastanza comune nelle valli e nelle case di montagna, prima della diffusione dei moderni barbecue e delle bistecchiere. Rispetto a questi attrezzi, la pietra garantisce, oltre alla facilità di pulitura e di conservazione, alcuni benefici di non poco conto. Evita il contatto diretto dei cibi con il fuoco (e quindi la carbonizzazione di parti più o meno estese degli stessi), e garantisce la distribuzione diffusa del calore, permettendo una cottura omogenea. Non fa colare grassi sul fuoco, risparmiando così agli alimenti l'esposizione ai residui della combustione delle particelle lipidiche. Il discreto potere assorbente delle pietra, inoltre, fa sì che gli alimenti, soprattutto le carni, siano sempre in contatto con la quantità di grassi necessaria alla cottura.
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Varianti: |
Le stesse modalità di preparazione e di cottura si applicano anche alle carni di capretto. E' diffusa la cottura con mix aromatici diversificati, in cui possono rientrare, oltre al rosmarino, la salvia, il timo, la maggiorana e il prezzemolo.
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Abbinamenti: |
La carne degli ovini dà a taluni qualche problema di digeribilità; è perciò consigliabile servirla con insalatina di stagione all'interno di un pasto improntato alla leggerezza (un risottino senza eccessi lipidici e un dessert di frutta). L'abbinamento adatto sarà con vini caldi, asciutti, corposi, come un Valtellina Grumello non troppo invecchiato.
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L'ingrediente: |
agnello e capretto A partire dal X-XI secolo, l'allevamento bovino andò soppiantando, nelle zone padane, quello delle pecore e delle capre, tipico della cultura greco-latina sin dal primo millennio a. C.. L'allevamento ovino e caprino rimase patrimonio dei territori alpini e prealpini, senza tuttavia assumere la consistenza necessaria a renderlo importante sotto il profilo economico. Più che per la carne, le pecore e soprattutto le capre erano allevate per il latte, destinato alla produzione di formaggi. A causa di questa eredità, risulta arduo tracciare una descrizione esauriente dello stato dell'allevamento ovino e caprino oggi in Lombardia, proprio per il fatto che è praticato, spesso a livello familiare, con pochissimi capi, nelle zone più svantaggiate dell'area collinare e montana. Solo negli ultimi 10-15 anni, piccole aziende operanti nella fascia prealpina e nel Pavese hanno avviato forme di allevamento intensivo di caprini stanziali, con greggi di dimensioni medio-piccole (30-50 capi) impostate sulla gestione razionale di tutti i fattori di produzione. Nella gastronomia tradizionale, l'uso di carne di agnello o di capra non era comune, ma limitato a eventi rituali, come la Pasqua. Nei ricettari del passato, comunque, a partire dalla ricetta per il castrato di Maestro Martino, identica a quella qui riproposta (se si eccettua la steccatura con cannella e chiodi di garofano), si dà maggior importanza alla pecora e al montone piuttosto che all'agnello e alla capra, dal momento che, nella cultura tradizionale era considerato uno sperpero la consumazione di un animale non ancora sufficientemente cresciuto.
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