Note: all'onda e al salto
Nella tradizione lombarda, il risotto, abbondantemente mantecato durante la cottura, si serve all'onda, cioè piuttosto cremoso, ma al dente e con i chicchi ben staccati tra loro, e si mangia col cucchiaio, in uno stato di grazia che dura pochissimi minuti, poiché il riso passa rapidamente di cottura. Il risotto avanzato può essere riscaldato al salto, rendendolo, secondo molti estimatori, più gustoso di quello appena fatto. Il risotto al salto si prepara una porzione alla volta, schiacciando il riso con le mani su un foglio di carta oleata, fino a dargli la forma di un tortino. Con delicatezza, per non romperlo, si fa scivolare il tortino in una padella contenente burro caldo e si fa cuocere come una frittata, agitando dolcemente la padella per il manico, finché il riso non abbia fatto la crosta. Si rovescia quindi su un piatto per farlo scivolare di nuovo nella padella e dorarlo anche dall'altra parte.
Varianti:
Sono molteplici, a cominciare dal riso, la cui scelta si orienta sulle qualità arborio, vialone e maratelli, per la loro resistenza alla cottura e il giusto rilascio di amido che forma la crema. Un uso brianzolo che si fa risalire al tempo della dominazione napoleonica, predilige sfumare con il vino rosso, ma oggi, generalmente, si ricorre al bianco secco al termine della rosolatura del riso. Per quasi tutto l'800 si è usato, al posto del midollo, il cervellato, cioè la salsiccia di maiale con sangue e cervella oppure lardo o pancetta. Già dal ricettario dell'Odescalchi (1826) sono accolti i funghi secchi o in polvere in alternativa a fettine di tartufo. Gualtiero Marchesi decora il risotto con un foglio d'oro zecchino per valorizzarne l'aspetto cromatico. Una versione più brodosa e senza midollo costituisce una vera e propria minestra, popolarmente conosciuta col nome di risotta.
Abbinamenti:
Il risotto è usato spesso come "letto" per la cotoletta impanata, per l'ossobuco, per il fricandò e per gli arrosti sugosi. Nella Brianza vi si appoggiano pezzi di salsiccia arrosto. In passato si accompagnava con vino rosso leggermente vivace e non invecchiato, come il Clinton o il Nustranel brianzolo; oggi si preferiscono vini bianchi di buon corpo e di marcata acidità, quali il Franciacorta bianco o il Pinot dell'Oltrepò Pavese.
L'ingrediente:
lo zafferano
È una sostanza aromatizzante e colorante, ricavata dagli stigmi dei fiori del Crocus sativus, pianta erbacea della famiglia delle Iridacee, originaria dell'Asia Minore. Usato in Oriente fin dall'antichità, fu introdotto nei Paesi mediterranei dagli Arabi e diffuso in Europa dopo le Crociate, a partire dal XIII secolo. Ebbe subito un largo impiego nella farmacopea e in cucina, sulla base di argomentazioni magico-simboliche che ne assimilavano le virtù a quelle dell'oro, ritenuto so¬stanza protettiva e purificante per eccellenza, particolarmente efficace nella prevenzione delle malattie cardiache. Entrava perciò nelle diete degli ammalati e dei convalescenti, come livello economicamente intermedio tra la doratura aristocratica con polvere o sottili fogli d'oro zecchino e la doratura popolare ottenuta con il rosso dell'uovo o con la frittura dei cibi preventivamente indorati nell'uovo sbattuto.
Attualmente se ne ricava una qualità più pregiata dai soli stigmi del fiore e una qualità inferiore (denominata femmina) dalla polverizzazione dell'intero stame essiccato. Il prezzo commerciale è molto elevato (attorno ai diecimila euro al kg per la prima qualità), poiché per ottenere 100 g di polvere di zafferano sono necessari circa 100 kg di fiori freschi.