ASPARAGI AL BURRO
da La cuoca milanese e la
cuciniera lombardo-veneta (1863)
Il Testo
“Fate cuocere gli asparagi nell’acqua col sale, quando son cotti fateli sgocciolare, e preparate una salsa con burro, sale ed aceto, o sugo di limone, noce moscata, pepe bianco, rimestandola sempre, e la verserete sugli asparagi che avrete collocati in un piatto”.
Il Commento
La preparazione tradizionale delle verdure bollite con burro fuso, semmai addensato con piccole quantità di farina e/o formaggio, e condito con pepe bianco e noce moscata, è qui reinterpretata alla luce delle abitudini culinarie tardo settecentesche, elaborate a Parigi e giunte in Lombardia attraverso la volgarizzazione piemontese. L’agro dell’aceto o del sugo di limone - non di rado stemperato dall’aggiunta di zucchero - è presente in molte ricette dell’epoca (non importa se di carne, di pesce o di verdure) a dare quasi una nota specifica alla gastronomia dell’epoca. Lo stesso ricettario presenta anche molte formulazioni in cui le verdure lesse sono condite, come nella migliore tradizione brianzola,. con burro fatto friggere al nero, non di rado deglassato con il solito cucchiaio di aceto.
Il Testo
“Ingredienti: pane lucido, uva passula, butirro, vino rosso, zuccaro, cannella"
“Taglia del pane lucido a fette, friggile con butirro e disponile asciutte in una zuppiera. Fa intanto bollire in una pentola di terra inverniciata 4 quintini di vino rosso con 4 once e mezzo [circa 110 g] di zuccaro, poca cannella in polvere e once 6 [circa 155 g] di uva passa piccola (in mil. ughett) ben mondata. Dopo un quarto d’ora di bollitura versa il tutto sulle fette di pane e servi la zuppa calda”.
Il Commento
Si tratta di una delle tante preparazioni dolci, molto apprezzate tra XVIII e XIX secolo sul Lario, in Brianza e nel territorio milanese, con le quali venivano esaltate le qualità energizzanti e dolcificanti del pane, della frutta e del vino. Si ricordi che la bollitura del vino con zucchero e frutta di vario tipo (sia fresca che essiccata) fino a concentrazione fluida, dava origine a quella sorta di sciroppo comunemente chiamato giulebbe, di cui lo stesso ricettario presenta altri utilizzi, con le pere, con le marasche, con le ciliege e persino con le carote affettate a bastoncini. L’impiego di pane lucido in luogo del pane di mistura, indicato per la maggior parte delle altre preparazioni, fa indurre che la ricetta sia stata elaborata in ambiente borghese (cittadino o di villa) sulla base di consuetudini popolari molto diffuse.
UNA CAZZOLETTA BEN FATTA
ELLA E’ PER BUON PASTO
da Antonio Odescalchi "Il cuoco senza pretese"
ossia la cucina facile ed economica (1826)
Il Testo
“Mettete del butiro in cazzaruola capace a dileguare, e quando sia a mezza cottura, vi unirete una cipolletta ben trita con un pizzico di pepe, e drogheria. Fatele prendere il color d’oro ma non troppo, indi aggiungetevi fegati di pollo, zampe, cuori, cipolle di pollo, colli, una gamba di vitello fatta a pezzi, cotica di porco pure tagliata a quadretti, costole porcine, che farete tutto questo unire al fornello, salato che sia, per qualche minuto. Ciò fatto aggiungetevi del brodo ma nella dose che basti per non farlo attaccare al fondo della cazzaruola, ed a due terzi di cottura unitevi selleri, porri, carote tagliate a fette; e così lasciate che cucini lentamente tutta questa roba. Ma le verze direte voi a che devono servire, che pur esse formano la parte essenziale di questo cibo? Le verze allorché saranno allestite, quando sia la cassuola a tre quarti di cottura, eccovi il tempo a proposito di accompagnarle al resto con una dose di salsiccia (luganica), e terminare così onorevolmente la cottura. Eccovi la cazzuola fatta e buona.
N.B. Se di magro con anguilla, polpe di rane, code di gamberi, salsiccia di pesce e brodo analogo, colla diversità che farete arrostire per primo le carote col sellero e porri, ed a mezza cottura vi unirete l’anguilla colle verze”.
Il Commento
La tradizione degli ultimi centocinquanta anni ha associato indefettibilmente il nome della cassoeula alla sostanza del maiale, con l’unica eccezione della persistenza nel territorio a Sud di Milano, in Lomellina, nel Pavese e nel Lodigiano, della variante con la carne d’oca, originatasi all’interno delle comunità ebraiche dove la carne di maiale era proscritta. Come tuttavia si può facilmente ricavare da molti ricettari del Settecento e dalla ricetta dell’Odescalchi, in origine la cassoeula era una variante rustica sul tema del fricandò o della finanziera ottenuta da carni di prevalente origine avicola, tanto cacciagione quanto animali da cortile, e, come tale, destinata alle mense borghesi. Nella cultura prealpina esisteva un altro piatto, la verzata (ricordata anche da Antonio Fogazzaro nel primo capitolo di Piccolo mondo antico con il nome di posciandra, tipico del lago di Lugano), in cui alle verze stufate si accompagnavano solo dei salamini (i verzitt, appunto). Questo piatto, tipicamente popolare, può essere considerato una cassoeula povera. Con molta verosimiglianza la cassoeula di tradizione otto-novecentesca deriva proprio da un incontro a mezza strada (cultura piccolo borghese e/o di villa) tra i due piatti citati.